di: GiuliaFornasiereDarioMusolino
EyesReg,Vol. 11, N. 3, Maggio 2021
Introduzione
Idistretti industriali rappresentano storicamenteuno dei maggioripunti di forza del sistema produttivo italiano (Bagnasco,1977; Becattini, 1975; Brusco, 1982; Fuà e Zacchia, 1983; Garofoli, 1981). Perquanto abbiano cambiato radicalmente struttura e fisionomia negli ultimidecenni, rimangono un modello di organizzazione spaziale della produzioneindustriale alla base del successo internazionale del paese, e in particolaredel Made in Italy (Buciuni e Pisano, 2015; Dei Ottati, 2018; Giuliani eRabellotti, 2017).
In vista della (auspicata) uscita dalla fase pandemica e della piena ripresa degli scambi e delle relazioni economiche globali, per i paesi si riproporrà la questione strategica dell’attrattività per investimenti produttivi. Tra i paesi più sviluppati, l’Italia è uno di quelli meno attrattivi per gli investimenti, come si desume da varie analisi e vari ranking internazionali (Groh e Wich, 2009; Mariotti e Mutinelli, 2014; Piani, 2019). Svantaggi localizzativi ben noti agli addetti ai lavori, quali la scarsa efficienza della Pubblica Amministrazione, l’instabilità politica, il carico fiscale e contributivo (AIBE, 2019), inficiano cronicamente la capacità del Sistema-Paese di attrarre investitori da altri paesi. I distretti industriali possono essere allora una delle leve su cui agire per risollevare l’attrattività del paese.
Peraltro, gli investimenti produttivi esogeni possono essere una risorsa, una fonte di finanziamento in sé preziosa per le PMI distrettuali, vincolate in questo senso dalla prevalente proprietà familiare, ovvero per consolidarle e rigenerarle facendole quindi rimanere protagoniste della presenza italiana sui mercati globali. Essi aiuterebbero le PMI distrettuali a sostenere la mole di investimenti che i nuovi modelli di sviluppo globale, improntati a sostenibilità e smartness, renderanno necessari in futuro a tutti i player industriali.
La letteratura sulla competitività dei distretti è vasta e articolata. Meno numerosi sono gli studi sull’attrattività dei distretti industriali per gli investimenti, caratterizzati per lo più da analisi econometriche sulla significatività della distrettualità come fattore di attrattività rivelata degli IDE (Bronzini, 2003; De Propris et al. 2005), e sugli effetti degli IDE a scala distrettuale (Meneghello et al, 2010). In questo contributo, sviluppiamo una analisi sull’attrattività dei distretti industriali in Italia, servendoci in particolare delle evidenze emerse da una serie di lavori recentemente realizzati in Italia sull’attrattività percepita a livello territoriale (Fornasier, 2019; Musolino e Mariotti, 2020; Musolino et al. 2020, 2021). Affronteremo tre punti: innanzitutto, daremo conto dell’effettiva attrattività ad oggi dei distretti industriali per gli investimenti esteri usando la reportistica
più esaustiva e aggiornata in materia; in secondo luogo, esamineremo la percezione e la valutazione che le imprese danno dei distretti in quanto localizzazione potenziale di investimenti produttivi; in terzo luogo, valuteremo il peso e la rilevanza che i distretti hanno sull’attrattività del sistema-paese. Seguono delle riflessioni conclusive sulle implicazioni di policy.
Idistretti attraggono IDE? Le imprese a controllo estero nei distrettiindustriali.
I distretti industriali in Italia, sulla base dei piùrecenti dati disponibili sullo stock di imprese a controllo estero nel nostropaese, sono meno attrattivi per gli investimenti rispetto alle aree nondistrettuali.
Secondo le analisi effettuate da Intesa Sanpaolo (2018),appena il 18% degli IDE diretti verso l’Italia, espressi in addetti, sonolocalizzati in aree distrettuali, contro il 25% circa degli investimenti diimprese italiane, e contro quasi il 30% di multinazionali a controllo italiano.Approssimativamente lo stesso differenziale si osserva esprimendo gli IDE intermini di numero di imprese.
Si tratta di IDE in larga parte brownfield,ovvero avvenuti attraverso fusioni o acquisizioni. La dimensione medio-piccoladelle realtà aziendali distrettuali, a fronte di una presenza degli investitoriesteri in Italia tradizionalmente in settori scale-intensive, come anchela loro scarsa contendibilità legata all’assetto proprietario tipicamentefamiliare, spiega lo stock ridotto di IDE nei distretti industriali, in un paesea già bassa capacità di attrazione di investimenti.
Pur tuttavia, se il quadro in termini di stock èabbastanza chiaro, l’interesse per la localizzazione distrettuale da partedegli investitori esteri appare in crescita, risultando superiore negli annirecenti a quello verso la localizzazione non distrettuale (Intesa Sanpaolo2018). Dall’inizio degli anni ’90, infatti, la quota di imprese distrettualioggetto di investimenti diretti esteri appare infatti superiore alla quota diimprese non distrettuali acquisite (o avviate) da investitori stranieri. L’acquisizionedi asset strategici, come marchi prestigiosi, produzioni di eccellenza,know-how specialistico, sono tra le ragioni principali per l’ingresso dimultinazionali straniere nei distretti italiani negli ultimi anni (IntesaSanpaolo 2017). Inoltre,per quanto non classificabile in senso stretto come attrazione di IDE, vasegnalato il fenomeno di back reshoring, in crescita negli ultimi anni,che coinvolge in misura rilevanteimprese distrettuali, e che costituisce un altro segnale della capacità attrattivadei distretti (Intesa Sanpaolo 2017; Wan et al, 2019).
Lavalutazione della localizzazione distrettuale da parte delle imprese:l’attrattività percepita
Il crescente interesse degli investitori stranieri peri distretti è sostanzialmente confermato da una serie di studisull’attrattività percepita di regioni e province italiane per gli investimentiproduttivi (Fornasier, 2019). Secondo questi lavori, che analizzano lapercezione, da parte degli imprenditori, dei territori in quanto potenzialilocalizzazioni di investimenti produttivi, i distretti risultano unalocalizzazione particolarmente vantaggiosa.
Tabella 1: Rating medio delle province italiane, distinte in base al grado di distrettualità*, in quanto possibili localizzazioni di investimenti produttivi
Fonte: Fornasier (2019). * Classificazione delle province in base al grado di distrettualità come da Bernardino e di Mauro (2011).
La tabella 1 mostra il rating medio ottenuto dalleprovince italiane in base al livello di distrettualità. Come si vede in modochiaro, le province ad alta distrettualità registrano valori decisamentesuperiori a quelli registrati dalle province a media distrettualità, e a lorovolta superiori rispetto alle province a bassa distrettualità.
L’evidente differenziale in fatto di attrattivitàpercepita tra province più o meno distrettuali è confermato pure disaggregandoi dati su base macroregionale. Nel Nord del paese, in cui si concentra la granparte dei distretti, il divario in fatto di attrattività tra aree ad alta,media e bassa distrettualità è ben evidente. E lo stesso si osserva nelCentro-Sud, in cui, tolte alcune regioni di storica presenza distrettuale,questo tipo di organizzazione produttiva è meno diffusa.
Inoltre, una analisi visuale della provinciale dell’attrattività percepita e della mappa dei distretti (Figura 1), restituisce bene la sovrapponibilità dei due pattern spaziali. Da una serie di indagini qualitative (Fornasier, 2019) emerge poi la consapevolezza da parte delle imprese dei vantaggi localizzativi, utili a ridurre costi di transazione e produzione, che i distretti sono in grado di offrire per chi intenda insediarsi e “radicarsi” in quei territori (Capello, 2004). L’analisi del contenuto delle risposte a una serie di domande aperte rivolte alle imprese rileva per esempio come la prossimità con fornitori e clienti, ovvero con imprese appartenenti alla medesima filiera e specializzazione produttiva, e l’ industrial atmosphere, sono tra le economie esterne offerte dai distretti più riconosciute. In circa il 30% dei casi le imprese menzionano infatti questi fattori quando devono spiegare l’attrattività percepita dei territori.
Figura 1: a) Rating medio delle province italiane in quanto possibili localizzazioni di investimenti produttivi; b) Distretti industriali a scala di sistemi locali del lavoro
Fonte: (a) Fornasier, 2019; (b) Istat, 9° Censimento Industria e Servizi.
Concetti peraltro ribaditi dagli osservatori privilegiati coinvolti nell’indagine (Fornasier, 2019):
“….la logica del distretto, quindi la vicinanza a fornitori e società, ossia un tessuto industriale fatto da piccole e medie aziende, attira la grossa azienda estera che cercherà di localizzarsi vicino a tutti i suoi piccoli fornitori e clienti. Questo è un meccanismo che si autoalimenta, cioè nel momento in cui un tessuto industriale è fiorente, la nuova impresa si collocherà in esso …”.
“…dove ci sono già dei cluster, questi attraggono maggiormente potenziali investitori, considerando che in tali aree si trovano già fornitori e potenziali clienti…”
Idistretti incidono sull’attrattività del paese?
Se l’evoluzione recente degli IDE in Italia sembraeffettivamente registrare un crescente interesse per investimenti in contestidistrettuali, e se, secondo la percezione delle imprese, i distretti hanno unpotenziale per attrarre investimenti, è utile infine capire che ruolo possonogiocare i distretti sull’attrattività di tutto il paese. Ovvero, se“investendo” su questo fattore di attrattività, si può anche incideresull’attrattività dell’intero paese.
A questo scopo, possono essere considerate una serie di analisiquantitative, basate sempre sulle evidenze emerse dall’indagine sullapercezione dei territori da parte delle imprese in Italia.
Una prima analisi econometrica, a scalamicro-territoriale (provinciale) (Musolino e Mariotti, 2019), è stata mirata amisurare la significatività di una serie di fattori di localizzazione qualiaccessibilità, capitale umano, economie di agglomerazione, distrettualità,apertura commerciale, presenza di corruzione e criminalità organizzata,rispetto all’attrattività percepita per gli investimenti produttivi.Dall’analisi, emerge che la distrettualità, insieme ad altri fattorilocalizzativi quali accessibilità e presenza della criminalità organizzata, èuna variabile statisticamente significativa per spiegare, in positivo,l’attrattività delle province italiane per gli investimenti produttivi.
Un secondo lavoro si è invece basato sulla tecnicadell’analisi delle componenti principali (ACP), attraverso cui le preferenzelocalizzative dichiarate dalle imprese (attrattività percepita) sono statescomposte in componenti che identificano dei pattern spaziali associabili afattori di localizzazione (Musolino, Meester e Pellenbarg, forthcoming). Usandoil metodo di rotazione varimax, sono stati elaborati tre modelli. Prevedibilmente,il divario Nord-Sud è il pattern dominante in tutti e tre i modelli, il cheindica innanzitutto l’importanza del livello di sviluppo socioeconomico perl’attrattiva del paese e di vari fattori localizzativi ad esso associabili(accessibilità, qualità istituzionale, presenza della criminalità organizzata).Un secondo pattern spaziale equivale invece alla “Terza Italia”, e si associaquindi alle economie di localizzazione fornite dai distretti industriali. Sonostati poi identificati altri fattori di localizzazione, quali posizionerelativa rispetto al mercato nazionale, accessibilità e qualità della vita. Quelloche emerge da queste analisi statistiche è dunque la correlazione positiva tradistrettualità e attrattività per gli investimenti produttivi; ovvero il ruolodecisivo dei distretti per rendere attrattivo per gli investimenti produttivi ilpaese. Sono risultati che di fato confermano le conclusioni a cui erano giuntile analisi menzionate nell’introduzione sull’attrattività rivelata per gli IDEdei distretti (Bronzini, 2003; De Propris et al. 2005). Da qui, la deduzionelogica che essi possono assurgere a leva su cui agire per potenziare lacapacità del paese di attrarre investimenti dall’estero (insieme ad altre, apartire evidentemente dall’efficientamento della macchina burocratica e dall’eradicazionedella criminalità organizzata).
Conclusionie implicazioni di policy
Sia le analisi sui flussi di IDE in entrata nel paese,sia le indagini sull’attrattività percepita, sottolineano che i distretti sonosempre più apprezzati dagli investitori, e vengono comunque ritenuti unalocalizzazione con grande potenziale per i vantaggi che offre. Le ultimeanalisi sopra illustrate, inoltre, evidenziano l’importanza strategica diquesto asset territoriale per la capacità attrattiva del paese.
L’ implicazioni di policy che ne deriva è la predisporre azioni e misure per potenziare e promuovere l’attrattività dei distretti per gli investimenti produttivi esogeni, in una visione organica e coerente rispetto alle iniziative autonome di offerta localizzativa da parte dei governi regionali, e all’insegna della complementarità (territoriale, strutturale e normativa) con le altre policy nazionali a dimensione territoriale per l’attrazione di investimenti (ZES) [1].
In questa prospettiva di complementarità, da un lato leZone Economiche Speciali nel Mezzogiorno possono costituire una leva per attrarrein particolare medio-grandi insediamenti produttivi greenfield, senza un forte focus settoriale, in territori con un tessutoindustriale provero, sfruttandone i preziosi vantaggi localizzativi (vedi legrandi infrastrutture nodali a livello continentale, quali il Porto di GioiaTauro) (PWC, 2019). Dall’altro lato, una strategia nazionale ad hoc perl’attrazione di investimenti nei distretti industriali potrebbe essere unaulteriore leva di policy per innovare e rivitalizzare il piccolo e medio tessutoimprenditoriale distrettuale del paese, in particolare dei settori del Made in Italy, puntando sia suinvestimenti brownfield (rafforzando un fenomeno che già si osserva oggiin misura significativa), ma anche su insediamenti greenfield.
L’Italia è un paese poco attrattivo per gli investimentiesteri non solo in generale, come si diceva nell’introduzione, ma anchesoprattutto per i progetti di investimento greenfield(Mariotti e Mutinelli, 2014), in particolare, nel settore industriale. A talescopo potrebbe allora essere utile attivare una serie di misure agevolative edi supporto (per esempio, riduzioni o esenzioni sulla tassazione immobiliare osulla fiscalità legata alla trasformazione edilizia, procedureedilizio-urbanistiche semplificate, ecc.) per promuovere nuovi insediamentinelle aree distrettuali di investitori esteri operanti in specifici settori. Infine, idistretti andrebbero anche essere espressamente promossi presso la business community internazionale (sipensi ad attività mirate, quali lo scouting) attraverso le reti istituzionaliesistenti (vedi per esempio, desk e unità ICE) (ICE, 2019), diventando uno deipunti di forza territoriali con cui “offrire” il Sistema-paese a livello globale.Anche una forte attività promozionale a livello internazionale potrebbe infatticostituire un pezzo della strategia per sviluppare questo nostro asset, ad ogginon sufficientemente valorizzato.
Giulia Fornasier, Università della Valle d’Aosta
Dario Musolino, Università Bocconi e Università della Valle d’Aosta
Riferimenti bibliografici
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Note
[1] Va sottolineato che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non si occupa esplicitamente né di attrattività né di distretti industriali, pur se interviene su una serie di temi “sottostanti”, rilevanti ai fini dell’attrattività del paese (per es investimenti infrastrutturali utili alle stesse ZES) e dello sviluppo delle filiere produttive (si veda per esempio la Missione 1: digitalizzazione, innovazione, competitività, turismo e cultura). Per cui, interviene per potenziare una serie di fattori di localizzazione del paese e di alcune aree, ma non prevede misure ad hoc per l’attrattività dei distretti industriali.